INDICE DEL CAPITOLO COS’È   IL   DIVORZIO             -            DIFFERENZA   TRA   IL   DIVORZIO   E   LA   SEPARAZIONE         -         QUANDO   POSSO   DIVORZIARE             -         LIMITE   DI EFFICACIA   DELLA   SENTENZA   DI   DIVORZIO      -      L’ASSEGNO   DIVORZILE       -      IL   PAGAMENTO   DELL’ASSEGNO   DIVORZILE   IN      UN     UNICA      SOLUZIONE          -         L’ASSEGNO   DI   MANTENIMENTO   DEI   FIGLI   NEL   DIVORZIO          -         L’AFFIDAMENTO   DELLA   PROLE   NEL DIVORZIO         -      L’ASSEGNAZIONE   DELLA   CASA   CONIUGALE   NEL   DIVORZIO     -      IL   DIRITTO   AD   UNA   QUOTA   DEL   TRATTAMENTO   DI FINE   RAPPORTO   PERCEPITO   DALL’ALTRO   CONIUGE          -         IL      DIRITTO   ALLA      PENSIONE      DI      REVERSIBILITÀ         -         I       DIRITTI     SUCCESSORI   NEL   DIVORZIO         -      LA   MODIFICA   DELL’ASSEGNO   E   DELL’AFFIDAMENTO   DEI   FIGLI   DOPO   LA   SENTENZA   DEFINITIVA DI DIVORZIO      -    TASSE E AGEVOLAZIONI FISCALI NEL DIVORZIO   ____________________________________ COS’È IL DIVORZIO? Il divorzio è lo scioglimento del vincolo coniugale sorto con la celebrazione del matrimonio. Il   termine   divorzio    deriva   dal   latino   “divortium”    che   a   sua   volta   deriva   da   “divertere”   parola   composta   da   “dis”    cioè   due   e   “verto”   cioè   volgo.   Quindi   “divertere”    significa   volgersi   in   due   (differenti)   direzioni.   I   coniugi   che   divorziano   non   seguono   più   una   sola direzione comune, ma si “volgono” in “due”  direzioni, intraprendendo, latu sensu, due strade differenti. CHE DIFFERENZA C’È TRA LA SEPARAZIONE E IL DIVORZIO? La   separazione   è   una   condizione   che   la   coppia   vive   durante    il   proprio   matrimonio,   pertanto   i   separati sono ancora marito e moglie e si definiscono ancora coniugi, seppur separati. Il   divorzio   è   invece   la   cessazione   del   matrimonio,   pertanto   i   divorziati   non   sono   più   coniugi   e   dopo   il divorzio si definiscono “ex coniugi”.   L’istituto   della   separazione,   (che   deve   precedere   obbligatoriamente   il   divorzio)   serve   infatti   a   tentare di   conservare   il   matrimonio ,   impedendo   alla   coppia   di   sciogliere   il   vincolo   coniugale   (con   il   divorzio) sull’onda   di   una   lite   estemporanea,   obbligandola   invece   a   meditare   in   modo   ponderato   sulle   proprie   scelte per   un   periodo   determinato   di   tempo.   In   tale   periodo,   durante   la   separazione,   la   coppia,   ancora   sposata,   si troverà   in   una   condizione   di   lontananza   fisica   reciproca   obbligatoria   stabilita   del   provvedimento   della separazione   che   impedirà   il   prosieguo   delle   liti   e   consentirà   alla   coppia   di   meditare   serenamente    sulla causa delle liti e decidere se riconciliarsi , rimanere separata o divorziare. L’istituto   del   divorzio   invece   serve   a   provocare   lo   scioglimento   del   vincolo   coniugale   di   una   coppia che,   dopo   aver   meditato   sul   da   farsi   durante   la   separazione,   si   è   determinata   a   non   riconciliarsi   ma   a   porre fine al matrimonio.   QUANTE PROCEDURE DI DIVORZIO ESISTONO? Esistono 3 procedure di divorzio che presuppongono un accordo della coppia: 1 . il divorzio a domanda congiunta 2 . il divorzio con negoziazione assistita   3 . il divorzio davanti al sindaco  (o un suo delegato) in funzione di Ufficiale delle Stato Civile e una procedura di divorzio che prescinde dall’accordo dei coniugi: 1 . il divorzio contenzioso QUANDO POSSO DIVORZIARE?   è   possibile   divorziare   (oltre   che   nei   casi   previsti   dall’ art.   3   L.   898/70 ),   quando   vi   sia   stata   separazione   dei   coniugi   ininterrotta   per   almeno   6   mesi      se   la   coppia   si   è   separata   con   procedura   di   rito   consensuale ,   o     per almeno  12 mesi  se la coppia si è separata con procedura giudiziale . POSSO DIVORZIARE SUBITO, SENZA LA SEPARAZIONE? Negli    anni    scorsi,    quando    per    poter    divorziare    occorreva    aspettare    3    anni    dopo    aver    seguito    la separazione,    era    invalso    l’uso    di    prendere    la    residenza    in    uno    degli    stati    esteri    la    cui    legislazione contempla   il   divorzio   immediato   senza   la   separazione,   per   divorziare   subito   e   far   poi   delibare   in   Italia   la sentenza   di   divorzio   ottenuta   immediatamente   dal   tribunale   dello   Stato   estero.   Infatti   l’ordinamento italiano   non   consente   di   divorziare   senza   la   separazione,   ma   consente   di   recepire   una   sentenza   di   divorzio emessa da uno stato estero. Oggi,   con   la   riforma   che   ha   stabilito   una   riduzione   del   tempo   durante   il   quale   la   coppia   deve   rimanere separata   prima   di   poter   iniziare   il   divorzio   da   3   anni   a   6/12   mesi,   tale   strategia   non   consente   più   alcun apprezzabile   risparmio   di   tempo,   occorrendo   più   di   9   mesi   per   far   delibare   una   sentenza   di   divorzio   in Italia. DA QUANDO DECORRE IL TERMINE DI 6 MESI/1 ANNO DALLA  SEPARAZIONE PER POTER DIVORZIARE? Il   termine   non   decorre   dalla   fine   della   procedura   di   separazione   ma   da   determinati   momenti   che   si trovano all’interno delle procedure, ( art. 3 L. 898/70 )  in particolare: 1. 12 mesi dall'avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale cioè dal giorno delludienza presidenziale nella procedura di separazione giudiziale; 2. 6 mesi dal giorno dell’udienza presidenziale della separazione giudiziale che si sia trasformata in separazione consensuale, quando cioè è avvenuto i c.d. mutamento di rito; 3. 6 mesi dal giorno dell’udienza presidenziale della separazione consensuale; 4. 6 mesi dalla data dell'accordo di separazione raggiunto a seguito di negoziazione assistita; 5. 6 mesi dalla data dell'atto contenente l'accordo di separazione concluso innanzi all'Ufficiale dello StatoCivile; CAMBIA QUALCOSA SE MI SONO SPOSATA IN CHIESA O IN COMUNE? Se   la   coppia   ha   eseguito   il   c.d.   matrimonio   concordatario,   (cioè   celebrato   in   chiesa   con   il   rito   religioso     e    regolarmente    trascritto)    con    un    unico    atto     celebrativo,    in    base    ai    Patti    Lateranensi,    ha    contratto matrimonio   sia   secondo   il   diritto   ecclesiastico    vigente   nello   Stato   della   Città   del   Vaticano,   sia   secondo   il diritto italiano  vigente in Italia. Se   tale   coppia   divorzia,   (cioè   scioglie   il   vincolo   coniugale   utilizzando   una   delle   procedure   previste   dal diritto   italiano),   si   verificherà   solo   la   dissoluzione   del   vincolo   coniugale   riconosciuto   dal   diritto   italiano, non   quello   riconosciuto   dal   diritto   ecclesiastico   (che   peraltro   non   prevede   nemmeno   il   divorzio   ma   solo   il diverso istituto dell’annullamento del matrimonio). Così    ad    es.    se    un    cittadino    si    sposa    in    chiesa    (con    matrimonio    concordatario),    divorzia    e successivamente   si   risposa   (con   altra   persona)   in   Comune,   innanzi   all’Ufficiale   di   Stato   Civile,   senza chiedere   o   senza   ottenere   l’annullamento   del   precedente   matrimonio   dai   tribunali   della   Sacra   Rota,   per   il diritto   ecclesiastico   vigente   all’interno   dello   Stato   del Vaticano   tale   cittadino   è   ancora   sposato   con   il   primo coniuge. Per il diritto italiano invece con il secondo. Per   quanto   sopra   questa   distinzione   si   traduce   in   due   “petitum“   differenti   e   alternativi   della   domanda di divorzio. (Il petitum è ciò che i coniugi chiedono al tribunale di disporre). Se    i    coniugi    si    sono    sposati    in    chiesa     e    hanno    celebrato    un    matrimonio    concordatario    (sopra descritto),   il   loro   divorzio   produrrà   la   c.d.   cessazione   degli   effetti   civili    del   matrimonio”    (cioè   dei   soli   effetti   civili,   perché   gli   effetti   del   matrimonio   ecclesiastico   si   conservano),   pertanto   questo   sarà   il   petitum della loro domanda di divorzio .   Se   invece   una   coppia   si   è   sposata   in   Comune    cioè   in   base   al   solo    diritto   italiano,   allora   con   il   divorzio si     avrà     il     c.d.     scioglimento    del    vincolo    coniugale”      cioè     dell’unico     vincolo     coniugale     esistente giuridicamente:   quello   contratto   in   base   alla   legge   italiana.   Questo   sarà   dunque   il   petitum   dei   coniugi   che si sono sposati in comune.  COS’È IL DIRITTO DI ASSEGNAZIONE DELLA CASA CONIUGALE? Le   condizioni   di   divorzio   (che   i   coniugi   stessi   determinano   nelle   procedure   consensuali   di   divorzio    o   il giudice   nel   divorzio   contenzioso )   individuano   il   genitore   con   cui   i   figli   prevalentemente   convivono   dopo   il divorzio dei genitori.    Se   la   casa   coniugale    (cioè   quella   ove   si   è   svolta   la   vita   familiare)   non   è   di   proprietà   del   coniuge   con cui   i   figli   prevalentemente   convivono    ma   dell’altro   coniuge,   secondo   le   regole   generali   sulla   proprietà,   il coniuge proprietario potrebbe allontanare l’altro e la prole dal suo immobile. I    figli    della    coppia    in    questo    caso    dovrebbero    seguire    il    genitore    cui    sono    affidati    o    comunque prevalentemente   convivono   in   una   diversa   sistemazione   abitativa,   probabilmente   in   un   altro   quartiere, dovendo   per   l’effetto   cambiare   scuola   e   perdere   amicizie   e   abitudini   ormai   radicate.   É   evidente   che   questo avrebbe   un   effetto   traumatizzante   sulla   prole.   Per   evitare   alla   prole   dei   divorziati   il   trauma   descritto   la legge prevede l’istituto dell’ assegnazione della casa familiare.   l’assegnazione   è   il   diritto   che   consente   il   godimento   esclusivo   e   gratuito    della   casa   familiare    al coniuge   con   cui   è   stabilito   che   i   figli   prevalentemente   convivano   dopo   il   divorzio,   indipendentemente   da chi sia dei due coniugi il proprietario, il comproprietario, il locatario o il comodatario dell’immobile. Il coniuge a cui viene riconosciuto questo diritto è detto assegnatario   Godimento   esclusivo    significa   che   il   coniuge   non   assegnatario,   anche   se   proprietario   dell’immobile, non   può   più   entrare   nella   sua   casa   assegnata   all’altro   senza   il   consenso   di   quest’ultimo,   essendo   altrimenti contestabile   al   proprietario   il   reato   di   violazione   di   domicilio.   (Naturalmente   il   proprietario   non   perde   il diritto   di   proprietà   per   il   fatto   dell’assegnazione   del   proprio   immobile   all’altro   coniuge.   Il   suo   diritto   viene “compresso”  e tornerà ad espandesi non appena verrà rimossa l’assegnazione ). 1 . Se   il   coniuge   non   assegnatario   è   proprietario   pieno   al   100%   dell’immobile   o   comproprietario   insieme all’altro,    al    coniuge    assegnatario    (cioè    colei/colui    che    ha    il    diritto    di    assegnazione)    spetta    il godimento    gratuito     dell’immobile ,    non    dovendo    pagare    alcunché    per    la    detenzione    dello    stesso all’altro    coniuge    proprietario/comproprietario.    (L’assegnatario    dovrà    pagare    solo    i    servizi    che consuma: condominio, luce, gas etc.). 2 .    Se   invece   l’immobile   è   di   proprietà   di   un   terzo   che   lo   ha   locato   o   concesso   in   comodato   al   coniuge non   assegnatario,   il   coniuge   assegnatario   subentra   ope   legis   nel   contratto   di   locazione   o   di   comodato al   posto   del   coniuge   stipulante,   come   se   fosse   stato   quest’ultimo   a   stipulare   il   contratto   di   locazione con    il    proprietario    dell’immobile    (e    dovrà    evidentemente    pagare    il    canone    al    terzo    proprietario dell’immobile se vorrà continuare a detenere detto immobile nel caso della locazione).  Come   detto,   la   disciplina   dell’assegnazione   della   casa   familiare   non   è   volta   a   comporre   i   rapporti patrimoniali della coppia che divorzia ma a tutelare i figli della stessa. La   disciplina   principale   che   regola   tale   istituto   non   si   trova   infatti   né   tra   le   regole   della   separazione coniugale   né   principalmente   tra   quelle   che   disciplinano   il   divorzio   ma   in   uno   specifico   titolo   del   Codice Civile   (titolo   IX   c.c.,   art.   337   sexies   c.c.)    che   regola   specificamente   e   uniformemente   l’assegnazione   della casa    familiare    in    caso    di    separazione,    divorzio,    annullamento    del    matrimonio,    e    figli    nati    fuori    del matrimonio. Essendo   detta   disciplina   sull’assegnazione   uniforme   per   la   separazione,   il   divorzio   e   gli   altri   casi detti,   con   il   divorzio   in   genere   viene   mantenuta   l’assegnazione   della   casa   familiare   al   coniuge   con   il   quale la prole prevalentemente convive, come già stabilito dal provvedimento di separazione. La     conferma     nel     provvedimento     che     dispone     il     divorzio     dell’assegnazione     conseguita     nella separazione    è    naturalmente    subordinata    alla    conferma    delle    condizioni    di    affido    e    di    convivenza prevalente   della   prole.   Immaginiamo   che   l’affidataria   trascuri   o   maltratti   i   figli   durante   la   separazione,   il giudice   del   divorzio   le   può   toglierle   l’affidamento,   rideterminare   il   tempo   di   permanenza   della   prole presso   ciascuno   dei   coniugi   e   per   l’effetto   modificare      anche   l’assegnazione   della   casa   coniugale   che   verrà riconosciuta, nell’esempio, all’altro coniuge.    La    legge    sul    divorzio    nell’ art.lo    6    punto    6    L.898/70     contiene    ulteriori    disposizioni    speciali sull’assegnazione   della   casa   familiare,   introducendo   anche   un   criterio   assistenzialistico   per   il   coniuge   più debole   che   si   affianca   a   quello   principale   della   tutela   degli   interessi   della   prole   per   la   determinazione dell’assegnatario stabilito dalle regole generali. Secondo    l’orientamento    dominante    della    giurisprudenza    tale    favor    è    comunque    subordinato    alla presenza   di   figli.   Se   è   stabilito   che   i   figli   abbiano   un   tempo   di   permanenza   presso   i   genitori   divorziati   di pari   entità   il   giudice   può   tenere   conto   nel   divorzio   del   favor   riconosciuto   dalla   legge   al   coniuge   meno abbiente,    attribuendogli    l’assegnazione    della    casa    familiare.    In    assenza    di    figli    invece    la    casa    non    è assegnabile indipendentemente dalle condizioni economiche del coniuge meno abbiente.   COME SI COSTITUISCE IL DIRITTO DI ASSEGNAZIONE DELLA CASA CONIUGALE?   Tale   diritto   può   essere   costituito   attraverso   le   procedure   consensuali   (inserendo   espressamente   tale previsione,   da   parte   della   coppia   stessa,   nelle   pattuizioni    che   regolano   i   propri   rapporti)   o   giudiziali   (nelle quali   l’assegnazione   viene   stabilita   direttamente   dal   giudice)   di   separazione,   di   divorzio,   di   annullamento del matrimonio, o di separazione di coppie non sposate che hanno figli (quindi nati fuori dal matrimonio).   Per   maggiori   informazioni   si   rimanda   al   capitolo    nel   quale   è   stata   trattata   l’assegnazione   della   casa coniugale nella separazione. A CHI VENGONO AFFIDATI I FIGLI NEL DIVORZIO? La     legge     sul     divorzio     e     quella     sulla     separazione     non     contengono     una     differente     disciplina dell’affidamento della prole. Nel    corpo    del    testo    delle    due    leggi,    quella    sulla    separazione    e    quella    sul    divorzio,    la    disciplina sull’affidamento    della    prole    non    è    nemmeno    presente.    Entrambe    le    leggi    infatti,    con    riferimento all’affidamento   della   prole,   contengono   solo   un   rinvio   (nel   divorzio   art.lo   6   L.   898/70 ,   nella   separazione art.lo   155   c.c. ),   agli   stessi   articoli   del   Codice   Civile   (337   s.s.c.c.)    che   regolano   uniformemente    l’affidamento della    prole    in    caso    di    separazione,    divorzio,    annullamento    del    matrimonio,    e    figli    nati    fuori    del matrimonio.    Ne   consegue   che   poiché   le   regole   che   hanno   disciplinano   l’affidamento   dei   figli   nella   separazione sono   le   stesse   che   disciplinano   l’affidamento   dei   figli   nel   divorzio,   in   genere   in   assenza   di   novità   nei rapporti   personali   successive   alla   separazione   (e   cioè   ad   es.   se   la   separata   affidataria   non   ha   maltrattato   o trascurato la prole durante la separazione), nel divorzio le condizioni di affido si conservano identiche.       Per   maggiori   informazioni   si   rimanda   al   capitolo    nel   quale   è   stato   trattato   l’affidamento   della   prole nella separazione. SE DIVORZIO, CONSERVO I DIRITTI SUCCESSORI? No.   Con   il   divorzio   si   perdono   del   tutto   i   diritti   successori   (cioè   il   diritto   di   ereditare   parte   dei   beni dello   (ex)   coniuge)   che   spettano   invece   ai   coniugi   sposati   e   ai   coniugi   separati   senza   addebito   (art.lo   585 c.c.) . Infatti,   nell’elenco   dei   successibili,    cioè   coloro   ai   quali   la   legge   stessa   attribuisce   la   qualità   dei   eredi nel   caso   in   cui   il   de   cuius   non   abbia   fatto   testamento   (c.d.   successione   ab   intestato)   non   c’è   l’ex   coniuge divorziato   (art.lo   565   c.c.) ,   né   tantomeno   l’ex   coniuge   divorziato   è   presente   nell’elenco   dei   legittimari,    cioè di   coloro   (tra   cui   moglie   e   figli)   cui   è   assicurata   dalla   legge   una   quota   dell’eredità   della   quale   il   testatore non   può   disporre   a   favore   di   terzi)   art.lo   536   c.c.  .   Leggi   perché   una   quota   dell’eredità   è   riservata   alla moglie e ai  figli . Naturalmente   il   testatore   (cioè   colui   che   fa   testamento)   ben   può,   se   lo   vuole,   lasciare   una   parte dell’eredità all’ex coniuge, ma non è obbligato.   SE DIVORZIO, I MIEI FIGLI CONSERVANO I DIRITTI SUCCESSORI? Si.   i   figli   conservano   esattamente   gli   stessi   diritti   successori   nei   confronti   di   entrambi   i   genitori indipendentemente   dal   fatto   che   questi   si   separino   o   divorzino.   I   figli   sono   protetti   dalla   legge   che   riserva loro   una   quota   dell’eredità   che   il   testatore   non   può   disporre   che   sia   trasferita   a   terzi.   Per   fare   un   esempio, il   genitore   non   può   lasciare   per   testamento   tutti   i   propri   averi   ad   un’amante.   Se   lo   fa,   quel   testamento   è nullo    nella    misura    in    cui    vìola    la    quota    riservata    obbligatoriamente    ai    figli    (vedi    anche    paragrafo precedente). SE DOPO IL DIVORZIO, UNO DEGLI EX CONIUGI GENERA ALTRI FIGLI, (DA UN ALTRO MATRIMONIO O NATURALI), CHE DIRITTI SUCCESSORI HANNO QUESTI ULTIMI? La   legge   non   fa   distinzione   tra   figli   legittimi   o   naturali,   né   tra   quelli   nati   dal   primo   matrimonio   o   da eventuali   matrimoni   successivi,   i   diritti   dei   figli   sono   sempre   equiparati.   Pertanto   se   un   coniuge   dopo   il divorzio   si   risposa   e   genera   altri   figli,   questi   ultimi   concorreranno   con   pari   diritti   con   i   figli   del   primo matrimonio sull’asse ereditario del genitore.   
LIMITE DI EFFICACIA DELLA SENTENZA DI DIVORZIO SU
 
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