AVV. MICHELE CUNICO STUDIO LEGALE  AVV. MICHELE CUNICO STUDIO LEGALE la separazione  consensuale  la separazione  consensuale il divorzio  contenzioso il divorzio  contenzioso il divorzio a   domanda congiunta il divorzio a   domanda congiunta la separazione  giudiziale la separazione  giudiziale continua a leggere le informazioni basilari su: LEGGI LE RISPOSTE ALLE DOMANDE PIU’ FREQUENTI SULLA SEPARAZIONE  GIUDIZIALE LEGGI LE RISPOSTE ALLE  DOMANDE PIU’ FREQUENTI SUL  DIVORZIO  CONTENZIOSO LEGGI LE RISPOSTE ALLE DOMANDE PIU’ FREQUENTI  SULLA  SEPARAZIONE  CONSENSUALE LEGGI LE RISPOSTE ALLE DOMANDE PIU’ FREQUENTI SUL DIVORZIO A DOMANDA CONGIUNTA
3.       La       separazione consensuale   su   istanza   di entrambe le parti . E’   una   procedura   che   si svolge in Tribunale. Può   essere   incardinata solo      presso      il      tribunale territorialmente   competente con           riferimento           alla residenza   di   almeno   uno   dei coniugi. Viene         iniziata         da entrambi      i      coniugi      che firmano   lo   stesso   ricorso   che contiene     la     disciplina     dei propri    rapporti    personali    e patrimoniali,   frutto   del   loro accordo. Nel   ricorso   deve   essere indicato          il          tipo          di affidamento    della    prole,    il tempo     di     permanenza     dei figli   con   l’uno   e   con   l’altro dei   genitori,   la   misura   degli assegni      di      mantenimento per   il   coniuge   che   non   abbia adeguati   redditi   propri   e   gli assegni     dovuti     allo     stesso perché          li          volga          al mantenimento dei figli. Il      Tribunale      ha      un potere       discrezionale       nel giudicare   se   tali   accordi   sono idonei       alla       cura       degli interessi   della   prole   o   meno. Se   li   ritiene   inidonei   (perché ad       es.       gli       assegni       di mantenimento    sono    troppo bassi),     il     Tribunale     stesso rifiuta       di       omologare       la separazione. Trattandosi       di       una procedura   c.d.   di   volontaria giurisdizione,       cioè       nella quale       i       coniugi       stessi dettano     la     disciplina     dei propri   rapporti,   il   Tribunale può        solo        rifiutarsi        di omologare      la      separazione alle    condizioni    stabilite    dai coniugi         estinguendo         il procedimento,    ma    non    può stabilire      esso      stesso      in questa   procedura,   d’imperio, alcuna   condizione   differente da               quelle               scelte spontaneamente                  dai coniugi. In      assenza      di      figli invece,     qualunque     accordo tra         i         coniugi         viene omologato     senza     che     sia eseguito   dal   tribunale   alcun sindacato sullo stesso. 4. La        separazione consensuale                     con negoziazione    assistita .    E’ una   procedura   che   si   svolge presso   uno   degli   studi   degli avvocati        difensori        della coppia.      Gli     avvocati     devono essere almeno uno per parte. (circolare   Min.   Gius.   n   6/15 del 24.04.2015).     In    mancanza    di    figli l’accordo          raggiunto          è trasmesso      al      procuratore della                         Repubblica competente   il   quale,   quando non       ravvisa       irregolarità, comunica     agli     avvocati     il nullaosta    e    ne    autorizza    la trascrizione   nei   registri   dello Stato Civile. In      presenza      di      figli minori   o   di   figli   maggiorenni economicamente                non autosufficienti,          l’accordo raggiunto         deve         essere trasmesso   entro   il   termine   di dieci    giorni    al    procuratore della    Repubblica,    il    quale, quando   ritiene   che   l’accordo risponde      all’interesse      dei figli,    lo    autorizza.    Quando ritiene     che     l’accordo     non risponde      all’interesse      dei figli,        lo        trasmette        al presidente   del   tribunale,   che fissa,      entro      i      successivi trenta               giorni,               la comparizione       delle       parti davanti a se. Quando       l’accordo       è autorizzato,   l’avvocato   della parte      trasmette,      entro      il termine        di        dieci        giorni,      all’ufficiale          dello          stato civile      del      Comune      in      cui      il     matrimonio        fu        iscritto    o trascritto,    copia    autenticata dallo    stesso.    Il        titolo    così ottenuto   ha   gli   stessi   effetti di    quelli    di    una    decisione dell’Autorità Giudicante. 5.           la           separazione consensuale                presso l’Ufficio     del     Comune      (a Roma      Uffici      dell’Anagrafe Centrale.)    E’    una    procedura che   si   svolge   presso   gli   Uffici del   Comune   di   residenza   di almeno     uno     dei     coniugi. Questa   procedura   è   limitata all’ipotesi   che   non   vi   siano figli       minorenni       o       non i    n    d    i    p    e    n    d    e    n    t    i      economicamente        e        non siano      previsti      assegni      di mantenimento                       trasferimenti    di    proprietà    a componimento     di     rapporti patrimoniali.     Non     occorre essere        assistiti        da        un avvocato.   I   coniugi   dovranno presentarsi                    davanti all'Ufficiale    una    seconda    e ultima    volta,    non    prima    di 30   giorni,   per   confermare   le dichiarazioni dell'accordo. L'istituto                    della separazione           è           stato disegnato   dal   legislatore   per tentare      di      conservare      il matrimonio. Infatti,   anziché   consentire   ai coniugi           di           sciogliere immediatamente    il    vincolo coniugale     con     il     divorzio sull'onda        di        una        lite estemporanea,    il    legislatore ha         deciso         di         porli, necessariamente,       con       la separazione           preliminare obbligatoria,     per     un     certo periodo,   (3   anni   dal   1975   al 2015     e     oggi     6     mesi     se consensuale     o     1     anno     se giudiziale),            in            una condizione         di         serenità coattiva,        raggiunta        con l’ordine    del    Tribunale    dato ad      uno      dei      coniugi      di allontanarsi         dalla         casa coniugale             (con             la separazione    i    coniugi    non essendo   vicini   non   possano continuare     le     liti     che     li hanno    indotti    a    separarsi), che        consente        loro        di meditare      e      decidere      se divorziare,        se        rimanere separati      sine      die,      o      se riconciliarsi. Essendo    la    separazione    un istituto   voluto   dal   tentativo di   conservare   il   matrimonio, la   legge   prevede   che   durante la      separazione      i      coniugi siano       ancora       marito       e moglie.     La     separazione     è infatti         una         condizione giuridica      che      la      coppia conosce        all'interno        del matrimonio. il     legislatore     ha     poi     teso ponti        d’oro        verso        la riconciliazione.    Se    la    copia vuole       riconciliarsi,       tutto quello    che    dovrà    fare    sarà tornare    insieme.    Non    sono previste          procedure          o comunicazioni                     per perfezionare                            la riconciliazione.                       la riconciliazione     annulla     gli effetti della separazione.  
     necessario     eseguire     una perizia     da     parte     del     CTU (consulente                   tecnico d’ufficio)   o   far   compiere,   per     determinare        la        misura dell’assegno,   indagini      della polizia     tributaria     a     carico del     coniuge     imprenditore che   viene   accusato   dall’altro di    dichiarazioni    inveritiere.      Queste       attività       possono durare mesi o anni. Una    coppia    che    litiga nello    stesso    appartamento non    può    aspettare    mesi    o anni       per       ottenere       dal tribunale    il    provvedimento che dispone la separazione.  Per            questo            il legislatore     ha     diviso     tale procedura    in    due    fasi :    una prima        fase        c.d.        fase d’urgenza      e     una     seconda fase c.d.  istruttoria . All’esito    della    fase    di urgenza   il   giudice   detta   (con il    c.d.    decreto    provvisorio) in    un    tempo    molto    breve, (entro       90       giorni       dalla proposizione   della   domanda di    separazione,    dopo    aver ascoltato   i   coniugi   e   letti   gli atti         introduttivi),         una disciplina         completa         e cogente:   ordina   ad   uno   dei due    coniugi    di    allontanarsi dalla     casa     coniugale     (per realizzare      il      fatto      della separazione      degli      stessi), determina     gli     assegni     di mantenimento,     assegna     la casa    coniugale    e    definisce l’affidamento dei figli. Quindi,              comincia l’istruttoria            che            si concluderà           con           una sentenza    finale,    ponderata sulla    base    dei    dati    emersi durante     tale     approfondita fase.  Il   coniuge   che   rimarrà     nella          casa          coniugale (mentre          l’altro          dovrà allontanarsene         fin         dal decreto   provvisorio)   non   è   il proprietario   o   il   locatore   per il    fatto    di    avere    tali    titoli, ma    quello    dei    due    coniugi con     il     quale     il     Tribunale stabilisce       che       la       prole passerà   un   tempo   maggiore rispetto   all'altro,   in   modo   da assicurare      alla      prole      la conservazione                  delle abitudini                      radicate nell'ambiente domestico. A    tale    coniuge,    se    la proprietà       della       casa       è dell'altro   o   è   cointestata   o   è in      locazione      all'altro,      il Tribunale   assegnerà   la   casa coniugale. Il              diritto              di assegnazione         offre         la possibilità          di          abitare gratuitamente       nella      casa coniugale       senza       pagare alcun          affitto          all'altro coniuge         che         ne         sia proprietario. Se     l'altro     coniuge     è locatario,           l'assegnatario subentrerà     ope     legis     nel contratto di locazione. La                            durata dell'assegnazione                    è determinata   dal   suo   scopo: assicurare      alla      prole      la conservazione   delle   proprie abitudini domestiche.     Pertanto    il    diritto    di assegnazione      può      essere rimosso,      su      istanza      del coniuge    proprietario    se    la casa          coniugale          viene s   p   o   n   t   a   n   e   a   m   e   n   t   e     abbandonata     dal     genitore assegnatario     della     stessa, quando       i       figli       se       ne a     l     l     o     n     t     a     n     a     n     o       definitivamente,     quando     i figli      diventati      adulti      si trovano      nelle      condizioni oggettive           di           potersi procurare         anche         solo potenzialmente         adeguati redditi        propri.        (Questa ultima          condizione          si verifica,                        secondo l'orientamento       dominante della         Suprema         Corte, quando    i    figli    compiono    il 32° anno di età). Il   genitore   con   il   quale la     prole     minorenne     verrà collocata      prevalentemente (cioè     passerà     più     tempo) non   verrà   individuato   sulla base    della    propria    capacità di   mantenerla,   sulla   base   dei maggiori    redditi,    ma    sulla base          della          maggiore idoneità    ad    assicurare    alla prole          educazione          ed assistenza .            Poiché           esiste letteratura    scientifica    nota, che    afferma    che    le    donne sono        più        naturalmente disposte   alla   cura   dei   figli   e statisticamente   guadagnano meno       degli       uomini,       in genere   viene   disposto   che   i figli      passino      un      tempo maggiore   con   quello   dei   due genitori,    la    madre,    che    ha meno             risorse             per mantenerli. Per       assicurare       alla prole        adeguate        risorse, ovviando         al         problema appena           descritto,           il Tribunale    dispone    a    carico del   coniuge   più   abbiente   il pagamento   di   un   assegno   di mantenimento    periodico    a favore   dell'altro   coniuge   che non   abbia   adeguarti   redditi propri    ed    altri    assegni    allo stesso,    perché    li    volga    al mantenimento dei figli. Potendo       il       Giudice redistribuire        le        risorse reddituali   della   famiglia   con lo    strumento    degli    assegni periodici,   diventa   irrilevante quale       dei       due       coniugi generi,   con   il   proprio   lavoro o in altro modo, tali risorse. È              evidentemente irrilevante   rispetto   a   tutte   le decisioni   sopra   descritte   chi dei       due       coniugi       abbia iniziato      la      procedura      di separazione giudiziale. È    rilevante    invece    chi abbia    causato    il    fatto    della separazione          con          una condotta   contraria   ai   doveri che              derivano              dal matrimonio,           (assistenza morale           e           materiale, coabitazione,                fedeltà, rispetto      reciproco      -art.lo 143 c.c.-). Se    le    liti    intollerabili    non sono        causate        da        un incompatibilità    di    carattere emersa   durante   il   coniugio, attribuibile     ad     entrambi     i coniugi,    ma    dalla    condotta illegittima    di    uno    solo    dei due      coniugi,      il      Giudice addebita      allo      stesso      la separazione                        (c.d. separazione con addebito). l’addebito    provoca   la   perdita dei          diritti          successori sussistenti      tra      moglie      e marito          per     il     fatto     del coniugio,    e    la    perdita    del diritto    a    ricevere    dall’altro coniuge      un      assegno      di mantenimento,    qualora,    in concreto,    per    il    fatto    della differenza      reddituale      e/o patrimoniale      dei      coniugi questo diritto sussistesse.  
Nel   divorzio   a   domanda congiunta   invece,   il   Tribunale può    emettere    una    sentenza che   contiene   disposizioni   (al cui    rispetto    i    coniugi    sono tenuti)     difformi     rispetto     a quelle    che    i    coniugi    stessi avevano   concordato   e   chiesto congiuntamente     di     recepire nella sentenza.    Ciò   si   verifica   perché   il tribunale    che    rinvenga    nelle pattuizioni                condizioni contrarie     all’interesse     della prole,    anziché    estinguere    il procedimento,    come    avviene nella                         separazione consensuale,       lo       prosegue applicando       il       rito       della procedura       di       separazione giudiziale    che    si    concluderà con    una    sentenza    che    potrà avere   un   contenuto   del   tutto differente      dalla      disciplina proposta   congiuntamente   dai coniugi. Questo     può     avvenire, come       detto,       solo       se       il tribunale   ritiene   inadatte   alla cura        dell’interesse        della prole,     le     pattuizioni     che     i coniugi   concordano.   Pertanto in   assenza   di   figli   minori   o   in presenza   di   figli   maggiorenni e   c   o   n   o   m   i   c   a   m   e   n   t   e     autosufficienti,     il     Tribunale emetterà    una    sentenza    che recepisce    le    pattuizioni    dei coniugi.     Nel    divorzio,    qualora uno    dei    due    coniugi    abbia maggiori       risorse       rispetto all’altro,              è              tenuto (sussistendo   le   condizioni   di cui   all’art.lo   5   L   898/70,   vedi colonna                        “divorzio contenzioso”)                        alla corresponsione     a     favore     di quest’ultimo    di    un    assegno periodico    c.d.    divorzile,    che sostituisce            quello            di mantenimento                goduto durante la separazione. Fino   a   quando?   finché   il coniuge beneficiario: 1 . si      risposa       (le      nuove nozze       estinguono       il diritto              all’assegno divorzile) o 2 . sorgono   innovazioni   nei rapporti        patrimoniali   degli    ex    coniugi    stessi (il       mutamento       delle condizioni    patrimoniali degli          ex          coniugi, indipendenti              dalla propria                  volontà, consente    di    di    rivedere in      qualunque      tempo l’entità dell’assegno). Se     tali     eventi     non     si verificano,     tale     obbligo     di pagare      l’assegno      divorzile può durare per tutta la vita. Inoltre   se   l’ex   marito   fa carriera    e    aumenta    i    propri redditi,       l’ex       moglie       può chiedere           un           numero illimitato         di         volte         di aumentare                       l’entità dell’assegno      divorzile,      per adeguarlo      alle      intervenute modificazioni      dei      rapporti patrimoniali. La   procedura   di   divorzio a    domanda    congiunta    offre un      alternativa      all’assegno divorzile periodico. Usando   tale   procedura   i coniugi     possono     accordarsi       perché       la       corresponsione dell’assegno                  divorzile anziché            periodicamente, avvenga            in            un'unica soluzione.      (Come      detto      è necessario   un   accordo.   Non   è possibile                        chiedere unilateralmente    al    tribunale di   disporre   tale   soluzione   in un       giudizio       di       divorzio contenzioso   contro   la   volontà dell’altro coniuge). Immaginiamo   il   caso   di un    marito    abbiente    che    ha una           moglie           casalinga nullatenente,    impossibilitata a   procurarsi   adeguati   redditi propri     dopo     il     divorzio,     a causa              della              scarsa scolarizzazione,    dell’età    o    di altro motivo. In   questo   esempio,   l’ex marito   è      obbligato   a   versare alla    ex    moglie    un    assegno divorzile periodico.        Egli       tuttavia       può preferire    cedere    alla    moglie un’importante      quantità      di ricchezza     perché     lei     possa soddisfare   le   proprie   esigenze con            quella,            anziché corrisponderle      un      assegno periodico   potenzialmente   per sempre    ed    essere    esposto    al rischio   che,   se   si   verificano   le eventualità     sopra     descritte, l’assegno   sia   anche   più   volte aumentato.      Se      la      moglie accetta     tale     soluzione ,     ella non       potrà       più       avanzare rivendicazioni       patrimoniali nei   confronti   dell’ex   marito   e non    potrà    mai    più    chiedere alcun        assegno        divorzile periodico. L’esempio    più    tipico    di una   simile   scelta   è   quello   del marito           abbiente           che trasferisce    alla    moglie    sulla base    di    un    accordo    con    la stessa,       in       occasione       del divorzio,            un            proprio appartamento      perché      ella possa    mantenersi,    non     con un     assegno     periodico,     ma   traendo    dall’immobile    i    c.d. frutti    civili    cioè    i    canoni    di locazione. Questa        soluzione        è vantaggiosa     per     il     marito perché      non      dovrà      pagare alcun     assegno     periodico     e perché    tacita    per    sempre    le altrimenti                      possibili successive           rivendicazioni patrimoniali    della    ex    moglie consistenti   nella   richiesta   di un          ulteriore          aumento dell’assegno,   al   mutare   delle condizioni   patrimoniali   degli ex coniugi. È     vantaggiosa     per     la moglie    perché    consente    alla stessa      di      risposarsi      o      di trovare              un              lavoro remunerativo,   conservando   la proprietà              dell’immobile conseguita      dal      marito      in occasione del divorzio. Infatti,   nell’esempio,   se la       moglie       scegliesse       di ricevere         dall’ex         marito anziché     l’appartamento,     un assegno       periodico,       come sopra   detto,   in   caso   di   nuove nozze   o   se   trovasse   un   lavoro adeguatamente     remunerato, perderebbe tale assegno. Può   accadere   però   che   il comiuge   più   abbiente   induca l’altro     ad     accettare,     come soluzione          alle          proprie contingenti   difficoltà,   a   titolo di     pagamento     dell’assegno divorzile        in        un        unica soluzione,   un   bene   di   scarso valore    come    un    box    auto    o una    piccola    comproprietà    o una       somma       limitata       di denaro. In       questo       modo       il coniuge    beneficiario    di    una simile                              limitata c   o    r    r    e    s    p    o    n    s    i    o    n    e      consumerebbe    quelle    risorse rapidamente   e   non   potrebbe mai chiederne altre. Per     questo     motivo     la legge   prevede   che   il   tribunale possa   rifiutare   tale   soluzione proposta           dai           coniugi congiuntamente,   se   la   misura della     corresponsione     viene ritenuta           dallo           stesso tribunale non equa. Nel      caso      in      cui      il coniuge   con   maggiori   risorse sia      dipendente      e      dunque abbia      diritto   al   TFR,   secondo la   giurisprudenza   prevalente, se    l’altro    coniuge    accetta    di ricevere      la      corresponsione dell’assegno    divorzile    in    un unica      soluzione,      perde      il diritto      a      ricevere      il      40% (rapportato    alla    coincidenza della    durata    del    matrimonio con       quella       del       rapporto lavorativo)            del            TFR (trattamento            di            fine rapporto)          dell’altro          ex coniuge    conseguito    dopo    il divorzio.   Tale   somma      spetta invece    alla    divorziata/o    che sia     titolare     di     un     assegno divorzile periodico.
Questo     affievolirsi     dei legami     si     traduce     in     una riduzione,        stabilita        dalla legge,      dell’obbligo      di      un coniuge di assistere l’altro. Così    ad    es.,    se    ad    un coniuge    separato     spetta    un assegno      di      mantenimento solo     che     questi     non     abbia adeguati         redditi         propri, (art.156      c.c.),      al      coniuge divorziato    spetta   un   assegno divorzile   se   oltre   a   non   avere mezzi     adeguati,     non     possa nemmeno      procurarseli      per ragioni   oggettive   (co.   4   art.lo 5 L. 898/70). Onde      gli      spetta      un assegno   divorzile   solo   se   non è   oggettivamente   in   grado   di trovare   un   lavoro,   (pensiamo al   caso   di   una   donna   anziana di    bassa    scolarizzazione    per la               quale               sarebbe oggettivamente       difficoltoso trovare un impiego). Se   il   coniuge   divorziato, che   non   abbia   mezzi   adeguati al   momento   del   divorzio,      ha invece   un   alta   scolarizzazione ed    è    giovane    e    dunque    ha oggettivamente                buone probabilità        di        procurarsi redditi         propri         adeguati, paragonabili           a           quelli dell’altro,   non   può   scegliere, per    il    fatto    della    normativa sopra      richiamata,      di      non lavorare   e   di   farsi   mantenere dall’ex coniuge.  Le    generali    difficoltà    a trovare    un    impiego    causate dalla   recente   crisi   economica hanno                 evidentemente aumentato   le   probabilità   del coniuge     che     si     trovi     nelle condizioni   dell’esempio   sopra descritto,     di     conseguire     un assegno   divorzile   importante avendo     provocato,     la     crisi economica,      quelle      ragioni oggettive         che         rendono estremamente         difficoltoso           procurarsi     adeguati     redditi propri. Nel   divorzio,   per   il   fatto della            cessazione            del matrimonio     ci     sono     criteri più       complessi       di       quelli previsti   dalla      normativa   sulla separazione             per             la determinazione    della    misura dell’assegno. Ad         esempio         nella separazione          il          giudice determina    gli    assegni    con    il solo    scopo    di    perequare    le risorse           della           famiglia nell’ambito     di     un     coniugio che continua. Nel      divorzio,      con      la cessazione   del   coniugio,      per determinare     gli     assegni,     il giudice    deve    avere    riguardo anche   a   quello   che   è   stato   il     “contributo        personale        ed economico    dato    da    ciascuno alla    conduzione    familiare    ed alla   formazione   del   patrimonio di       ciascuno       o       di       quello comune” . Facciamo   un   esempio   in cui       questa       regola       viene applicata: il        marito        acquista        un immobile            prima            del matrimonio    intestandone    la proprietà   al   100%   in   capo   a   se e     accende     un     mutuo     per pagarne   il   prezzo.   Durante   il matrimonio      egli      volge      il proprio            stipendio            al pagamento   del   mutuo   e   offre così      alla      moglie,      con      la  condivisione                       della detenzione   di   tale   immobile, che     viene     adibito     a     casa familiare,      la      soddisfazione dell’esigenza                 primaria dell’abitazione. La    moglie,    che    lavora, provvede    invece    all’acquisto del   cibo   e   al   pagamento   delle bollette. Le     risorse     dei     coniugi appaiono   entrambe   volte   alla cura degli interessi familiari. Al          momento          del divorzio      però,      avremo      un coniuge    che    si    è    arricchito ( non      consumando     i     propri stipendi   nel   manage   familiare ma      trasformandoli      in      un immobile     di     sua     proprietà esclusiva) e   un   altro   che   si   è i   m   p   o   v   e   r   i   t   o   ,       a   v   e   n   d   o     consumato     invece     i     propri  redditi       nel      sostentamento della famiglia. In   questo   caso,   se   a   chi si     è     impoverito,     spetta     un assegno     divorzile,          (per     il fatto   delle   differenti   risorse   e delle       altre       regole       prima descritte),             gli             verrà riconosciuto     un     assegno     di entità     maggiore,     perché     il giudice             valuterà             la circostanza      descritta      nella determinazione    della    misura dell’assegno.  Un'altra     regola     che     è presente   nel   divorzio,   ma   non nella     separazione,     è     quella che   stabilisce   che   al   coniuge divorziato   (ma   per   l’appunto non       al      coniuge      separato) spetta,      se      titolare      di      un assegno   divorzile   periodico ,   il 40     %     del     TFR     conseguito dopo     la     proposizione     della domanda           di           divorzio dall’altro   coniuge   (rapportato alla   coincidenza   della   durata del     matrimonio     con     quella del rapporto lavorativo). Facciamo     un     esempio per   capire   perché:   la   moglie, casalinga,     volge     il     proprio tempo    e    le    proprie    risorse fisiche   ai   lavori   domestici.   Il marito      potendo      fruire      di camicie            stirate,            cibo preparato,   spesa   fatta,   vestiti e    piatti    lavati,    figli    accuditi, può   invece   volgere   il   proprio tempo    e    le    proprie    risorse fisiche         ad         un         lavoro remunerato.   In   questo   modo   i redditi     del     marito     sono     il risultato    di    un    complesso    di attività   necessarie   delle   quali quelle   eseguite   dalla   moglie, che        si        inseriscono        nel processo         a         formazione progressiva   di   generazione   di quei       redditi,       non       sono remunerate      dal      datore      di lavoro     del     marito.     Il     TFR       consiste   pertanto   di   ricchezza che      incorpora      sia      quella profusa   dal   marito,   sia   quella profusa      dalla      moglie,      ma queste           non           vengono remunerate        separatamente tra   i   due   coniugi   dal   datore   di lavoro   del   marito.   Pertanto      la legge      stabilisce      che      deve essere redistribuita. Un   altra   differenza   sulla determinazione     dell’assegno nel   divorzio   rispetto   a   quella della       separazione,       è       la reazione      della      durata      del matrimonio                sull’entità dell’assegno. In    base    alla    normativa sulla    separazione,    la    durata del   matrimonio   non   reagisce sulla      misura      dell’assegno, mentre     reagisce     invece     in base       alla       normativa       sul divorzio. Ciò    si    giustifica    perché durante      la      separazione      i coniugi   sono   ancora   marito   e moglie   e   per   l’effetto   non   ha rilievo   il   dato   sulla   durata   del matrimonio           che           può proseguire   anche   per   tutta   la vita,        se        i        coniugi        si riconciliano. Dopo    il    divorzio    invece il    matrimonio    è    cessato    e    il contributo   personale    dato   da ciascuno       alla       conduzione familiare   ha   necessariamente un    valore    differente    in    base alla    durata    del    matrimonio. Esso        non        può        essere importante   se   eseguito   in   un tempo molto ristretto. Tutte                         queste particolarità    della    disciplina del    divorzio    riguardano    solo gli          ex          coniugi.          Con riferimento   invece   ai   figli,   gli obblighi   dei   genitori   nei   loro confronti            durante            la separazione   e   dopo   il   divorzio sono                 sostanzialmente identici. La            pensione            di reversibilità                  spetta      al coniuge   superstite   divorziato solo   se   titolare   di   un   assegno divorzile    periodico    e    se    non passato   a   nuove   nozze.   Se   ci sono     più     coniugi     superstiti divorziati,          (che          hanno sposato   serialmente   lo   stesso de      cuius),      concorrono      in ragione      della      durata      del proprio    matrimonio,    con    gli altri,       sulla       pensione       di reversibilità.   
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